Carlo e Flaminia Bottoni
C’era una volta il “driver”
Dialogo sul mondo delle corse al trotto tra una figlia e un guidatore di cavalli
24,00€
Non è esatto dire che “topo” in romanesco si dice “sorcio”. Non basta. Sorcio non è solo topo, è qualcosa di più. Il topo è l’animale vittima del gatto, il sorcio è predatore, ruba il formaggio, si infila tra le gambe delle signore e le fa svenire, fa gli scherzi ai gatti e, in poche parole, non lo freghi mai.
“Ma perché Carlo Bottoni lo chiamano sorcio?”. Troppo facile la risposta. Guardatelo in sediolo. Guardate la posizione, la testa nascosta tra le braccia, a loro volta nascoste in mezzo alla coda del cavallo. Il busto in avanti, ma non troppo, un sorriso mal celato sotto gli occhiali.
Durante la corsa non v’accorgete mai che è in pista, non lo vedete al largo, non cercatelo all’attacco alla Mazzarini. Poi, quando i cavalli entrano in retta d’arrivo e i protagonisti di tutta la gara si accingono, dopo aver mangiato il primo e il secondo, a disputarsi il dolce, ecco il sorcio che sbuca dalla sua tana alla corda, sgattaiola tra gli avversari come fossero le gambe di una sedia, e zacchete, prende il formaggio e se ne torna allegro e saltellante a casa, cioè in scuderia.
Giuseppe Moscuzza